La morte di Federico II
La morte di Federico II di Svevia nel 1250 aveva momentaneamente lasciato i suoi sostenitori senza un punto di riferimento e il sacro romano impero senza un capo. Tra il 1254 e il 1255 Firenze, che ambiva a diventare arbitro supremo della Toscana, dapprima fece espellere con la forza i ghibellini da Arezzo, poi ne favorì la riappacificazione con i guelfi e il popolo.
La battaglia di Montaperti e la momentanea vittoria ghibellina
La causa imperiale non era comunque perduta, dal momento che Manfredi, figlio naturale ancorché illegittimo di Federico II, iniziò ad appoggiare i tradizionali alleati della casata di Svevia, inviando un potente contingente di cavalleria nella regione, che i capi ghibellini sfruttarono nella battaglia di Montaperti (1260), che mise a mal partito Firenze e i suoi alleati, che dovettero generalmente accettare il rientro dei ghibellini esiliati dalle rispettive città.
La rivincita guelfa nelle battaglie di Tagliacozzo e Benevento
Le fortune dei filosvevi, capitanati in questa fase dal vicario di Manfredi in Toscana, il potente signore feudale Guido Novello della famiglia comitale dei Guidi, vennero meno pochi anni dopo, quando Carlo I d’Angiò, chiamato in soccorso dal papa contro l’odiato re di Sicilia, ne prese il posto sconfiggendolo e uccidendolo nella battaglia di Benevento (1268). Due anni dopo, il re angioino confermò la sua potenza vincendo a Tagliacozzo lo scontro contro l’ultimo svevo (1268), Corradino, che subì la decapitazione insieme ai personaggi più in vista che lo avevano accompagnato in battaglia.
Rodolfo d’Asburgo diventa re dei Romani
In Toscana, Firenze diventò il perno attorno a cui ruotava l’egemonia angioina. I ghibellini erano ancora numerosi ma mancava loro un campione che potesse sfidare la potenza del re di Sicilia. Ad Arezzo, dove al pari delle altre città toscane si stava assistendo all’ascesa di un ceto non nobiliare raccolto attorno alle corporazioni di mestiere (Arti), si installò per circa un ventennio un governo popolare e guelfo, senza che si registrassero particolari tensioni intestine. Intanto, nel 1273 in Germania fu designato il nuovo re dei Romani (passo preliminare all’incoronazione imperiale) nella figura di Rodolfo d’Asburgo, appoggiato dal papa, che stava cercando un nuovo imperatore che fosse abbastanza docile da non minacciare di estendere il suo controllo diretto sull’Italia centro – settentrionale ma che, al contempo, potesse fungere da valido scudo contro le pretese di Carlo d’Angiò sulle stesse regioni. Il principe tedesco evitò infatti di porsi in contrasto con il pontefice, nominando peraltro come rappresentante in Toscana Percivalle Fieschi, uomo di Chiesa e con un passato antisvevo.
Morte di Carlo d’Angiò, i ghibellini tornano alla ribalta
La crisi dell’egemonia angioina causata dalla rivolta del Vespro (1282) e dalla morte di Carlo d’Angiò (1285), riportò i ghibellini alla ribalta. Il vicario Fieschi, di fronte al rifiuto di Firenze, Siena e di altri centri di sottomettersi alla sovranità dell’imperatore designato (1286), si ritirò ad Arezzo, nuovamente sede di conflitti interni. Nel 1287, dopo aver trascorso anni tra compromessi politici, l’anziano vescovo Guglielmino degli Ubertini reagì all’aggressività del priore delle Arti Guelfo da Lucca, riunendo attorno a sé le potenti famiglie guelfe e ghibelline e reprimendo il governo popolare. Con l’aiuto dei leader ghibellini, espulse poi i guelfi dalla città, restando padrone della scena. La lega guelfa, capitanata da Firenze e già pronta allo scontro contro Rodolfo (che tuttavia non sarebbe mai sceso in Italia), accolse le richieste di protezione da parte dei guelfi aretini esiliati.
Arezzo centro del ghibellinismo, i tempi per la battaglia di Campaldino sono maturi
Arezzo divenne così il fulcro del ghibellinismo toscano e accolse tutti coloro che simpatizzavano per la causa, provenienti dalla Toscana, dalla Romagna e dal ducato di Spoleto. Una volta riuniti tutti in città fu stabilito, con l’appoggio del vicario imperiale, di dare il via alla guerra (1288), che l’anno seguente sarebbe culminata nella battaglia di Campaldino.
Per approfondire:
Barlozzetti U. La terza guerra dei fiorentini in Toscana. Dall’egemonia guelfa alla vittoria del Popolo, in Il sabato di San Barnaba, a cura di Scramasax, Milano, 1989.
Berti L. Arezzo nel tardo Medioevo (1222 – 1440). Storia politico – istituzionale, Arezzo, 2005.
Brezzi P. Le vicende politiche della Toscana dal 1280 al 1293, in La battaglia di Campaldino e la società toscana del ‘200. Atti del convegno di studi storici, Firenze, Poppi, Arezzo, 27, 28, 29 settembre 1989, Firenze, 1994.
Canaccini F. Ghibellini e ghibellinismo in Toscana. Da Montaperti a Campaldino (1260 – 1289), Roma, 2009.
Devries K., Capponi N. Campaldino 1289. The battle that made Dante, Oxford 2018.
Commenti
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Luigi
Sostanzialmente Arezzo rimase stranamente uno dei pochi borghi ghibellini pagandone le conseguenze data la maggioranza italiana guelfa bianca non nera, come indicava Dante, seppur anch’egli sconfitto ed esule per le lotte faziose e senza un Principe laico ma con il ruolo centrale del Papa contro cui era impossibile parteggiare nonostante le importanti città dal Libero Gonfalone Firenze e Bologna.
Anche Lorenzo il Magnifico pagò questo scotto per l’eccessiva sua laicità.