Bilancio dell’esperienza comunale a guida aristocratica
La parte aristocratica che rappresenta il ceto dirigente è divisa politicamente in fazioni guelfa e ghibellina, e queste gruppi non formalizzati, sempre in lotta per la supremazia politica degli uni sugli altri. In questa dinamica le famiglie assumono un ruolo fondamentale. L’istituzione comunale che ha il pregio di aver progressivamente superato la frammentazione territoriale dell’età feudale conquistando e riunendo le terre prossime alla città, e che ha messo un certo ordine ricomponendo i poteri sovrani prima in mano in parte ai vescovi, in parte ai feudatari, non riesce tuttavia ad ottenere una stabilità in questi nuovi equilibri. Tale parziale fallimento dell’istituzione comunale giustifica e spiega il tentativo di passare ad esperienze di governo intorno ad un Signore della città. Per periodi più o meno lunghi governeranno la città di Arezzo il Vescovo Gulielmino degli Ubertini, Uguccione della Faggiuola, il Vescovo Ildebrandino dei Conti Guidi, l’Imperatore Arrigo VII, il Re Roberto d’Angiò, il Vescovo Guido Tarlati e alla sua morte il fratello Pier Saccone, ma questa è storia successiva all’avvento della parte popolare, torniamo quindi a qualche decennio prima.
La nascita della fazione popolare
Nel 1256, dietro la scorta dell’esperienza fiorentina, fa il suo esordio ad Arezzo il Popolo come forza politica strutturata. Non è un processo lento ed autonomo, ma piuttosto un percorso più rapido mutuato dal modello del Primo Popolo della città gigliata. Già nel 1255 le fonti parlano di un Capitano del Popolo, ma è appunto nell’anno successivo che è testimoniato un Consiglio del Popolo ed una più ampia assemblea di populares. L’organizzazione più compiuta emerge dai documenti del 1258. Il Consiglio generale del Popolo è formato dai Rettori delle Arti o Capitudini delle Arti e delle Società, dai Domini Societatum (probabilmente le autorità militari delle Corporazioni), dai Consigli delle Arti e da cento membri cooptati fra i populares, l’organo esecutivo è invece costituito dagli Anziani e dal Capitano del Popolo. Il capitano del Popolo che inizialmente rappresenta una figura alternativa rispetto al Podestà acquisisce successivamente poteri ampi e necessari al nuovo assetto istituzionale tanto che la sua figura rimane anche quando il Popolo non è più operante. Nel 1337, quando i fiorentini prendono il potere ad Arezzo, reintroducono questa magistratura con il nome di Capitano di guardia e del Popolo. Gli Anziani sono presenti già dal 1255 con ampie competenze. Negli anni successivi si passa da otto a dodici Anziani eletti in numero multiplo di quattro dato che vengono eletti in numero uguale in ogni Quartieri e sono presenti nei documenti fino al 1261.
Il governo popolare del Comune
Il Capitano del Popolo e gli Anziani nel periodo popolare rappresentano il Comune così come avevano fatto precedentemente il Podestà e i Sindaci. Nel 1266 l’officio degli Anziani viene sostituito da quello dei XXIV del Comune e del Popolo e dura, con gli stessi compiti della precedente magistratura, fino al 1287 anche se scompare dalle fonti due anni prima. A differenza di Firenze, nella quale come abbiamo visto l’ascesa popolare coincide con una repressione del governo aristocratico, ad Arezzo le due forze coesistono. Nel 1266 il Consiglio generale del Popolo affianca quello dei “Duecento del Comune e del Popolo”, due anni più tardi esiste un’unica assemblea comunale detta “Consiglio generale del Comune e del Popolo” che deve essere il frutto dell’Assorbimento della precedente da parte del Consiglio del Popolo.
Nel 1281 si attesta un altro organo denominato “otto Sapienti del Comune”. Probabilmente inizialmente costituisce una commissione svincolata dalla fazione popolare e convocata in momenti particolari, ma nel 1285 un documento dimostra l’evoluzione di quest’organo. Si può ipotizzare che sia diventato di matrice popolare e che “sia stato utilizzato dal Popolo minuto come grimaldello per scalzare il potere dei popolani più abbienti, rappresentati dai XXIV; ma si tratta di una semplice ipotesi, per quanto seducente” commenta Scharf a riguardo. Le sue decisioni prima di essere promulgate sono vagliate dalle istituzioni che rappresentano l’apice del governo popolare dell’ultimo periodo: Capitano del Popolo, Rettore delle arti e Giudice degli appelli.
La politica popolare
Per quanto ci è dato di capire dalle poche fonti a disposizione dal 1256 al 1273 l’azione popolare è caratterizzata da una politica abbastanza moderata con un’incidenza tutto sommato limitata. Tra l’altro ai suoi esordi la fazione popolare non è rigidamente contrapposta a quella aristocratica, ma c’è una reciproca compenetrazione nelle istituzioni fra i due blocchi, prova ne è il fatto che nel 1266 il Capitano del Popolo è Tarlato da Pietramala, famiglia di spicco della nobiltà aretina. All’interno della componente aristocratica comunque non si sono mai sopite le lotte per la supremazia politica, tanto meno in questo periodo e tale situazione non fa che rafforzare e sostenere il consolidamento politico del popolo a danno della parte nobiliare tanto che nel 1274 si determinerà lo scioglimento delle 12 Arti. La costruzione nel 1278 del Palazzo del Popolo all’apice della principale via cittadina dimostra l’inefficacia di quel provvedimento. Le arti tornano ancora più forti e questa condizione porta il Vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini, desideroso di stabilire il domino sulla città, ad entrare in conflitto aperto con la fazione popolare nel 1281.
Guglielmino degli Ubertini è appoggiato dagli aristocratici
Guglielmino degli Ubertini è eletto Vescovo di Arezzo nel 1248, diviene così potentissimo dal momento che unisce i vasti possedimenti appartenenti alla sua casata alla disponibilità dei castelli soggetti all’episcopio. E’ da subito avversato dall’Istituzione comunale che nel 1258-1259 lo accusa di voler diventare Signore della città. Si assiste in questi anni ad uno scontro in seno al Comune fra il popolo e l’Aristocrazia che appoggia la tendenza Signorile del Vescovo Guglielmino. Nel 1284-1285 il Comune distrugge alcuni castelli episcopali nel contado.
La politica popolare diventa antiaristocratica
La documentazione del biennio che va dal 1285 al 1287 ci mostra una tendenza alla radicalizzazione del partito popolare, caratterizzato sia da un inasprimento delle azioni contro i nobili sia da azioni interne volte a favorire la rappresentanza e la partecipazione politica della base popolare. Nel 1285 il Podestà Forese degli Adimari di Firenze, esponente di matrice aristocratica, viene cacciato da un tumulto popolare, e sempre nello stesso anno è documentata un’attività più intensa degli Otto sapienti, officio di marcata matrice popolare e la presenza per la prima volta di un Giudice degli appelli che sembra essere una figura di controllo dell’esecutivo comunale a nome del Popolo minuto.
La reazione dell’aristocrazia e la fine della prima esperienza popolare
In questo clima politico si registra una decisa reazione nobiliare. L’aristocrazia cittadina infatti, riaggregatasi, decide di porre violentemente fine all’ormai insostenibile affermazione del Popolo, uccidendo nel 1287, il Priore delle Arti Guelfo da Lucca, esiliando gli uomini del Popolo più in vista, e sciogliendo ancora una volta le Arti che sono diventate 15. In conseguenza di tali atti costituisce un governo aristocratico misto di Guelfi e Ghibellini. Molto presto si acuiscono gli scontri fra le due parti, i Ghibellini cacciano i Guelfi da Arezzo ed a capo dell’unica fazione rimasta, quella appunto ghibellina si pone il Vescovo Guglielmino degli Ubertini, che diventa formalmente anche Signore della città. Arezzo è ora uno dei centri più attivi del Ghibellinismo italiano, e si spengono per i successivi anni le possibilità per il Popolo di mettere in atto un governo di tipo popolare.
Per approfondire
Berti, “Arezzo nel tardo Medioevo 1222-1440”
Scharf, “Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)”
Lascia un commento