Piero (anche Pietro) “Saccone” Tarlati di Pietramala (1265 ca. – 1355/6)
Già vicario imperiale in Castiglion Fiorentino nel 1311, Piero dei Tarlati di Pietramala si distingue presto quale valente condottiero perché acquisisce una solida esperienza militare negli anni delle campagne di conquista condotte con successo dal fratello Guido Tarlati (eletto vescovo di Arezzo nel 1312 e signore della città tra il 1321 e il 1327) per estendere il dominio aretino e specialmente per riprendersi quei territori perduti a vantaggio dei fiorentini e dei guelfi del contado dopo la disastrosa sconfitta di Campaldino nel 1289.
La prima testimonianza dell’attitudine guerriera di Piero risale però al giugno 1312 quando Arrigo VII dona, quale espressione di favore, il vessillo delle armi a lui e a suo fratello Tarlatino[1] che lo avevano seguito nel viaggio verso Roma per ricevere l’incoronazione imperiale.
Il 29 agosto 1315, con il figlio di Guglielmo dei Pazzi di Valdarno caduto a Campaldino e alla testa di 150 nobili aretini, Piero si unisce alle forze ghibelline di Uguccione della Faggiola che combatte e vince a Montecatini quelle della lega guelfa capeggiate da Firenze.
‘Mano militare’ di Guido, nel 1323 prende parte insieme con Tarlatino all’occupazione di Città di Castello e accompagna il podestà di Arezzo Ughetto da Forlì a sottomettere Caprese e Rocca Cinghiata, sottoposte al dominio dei conti Guidi di Romena.
Dopo la morte di Guido nel 1327, attraverso la creazione di un inedito ufficio di vertice nell’assetto istituzionale comunale definito “Defensorato”, il casato di Pietramala conserva il dominio su Arezzo che in breve confluisce esclusivamente su Piero (1328). Egli legittima immediatamente la propria posizione attraverso l’acquisizione del vicariato imperiale in città che gli viene assegnato sempre nel 1328 dall’imperatore Ludovico il Bavaro (1328-1347).
Piero fa eleggere e consacrare dall’antipapa Niccolò V (1328-1330) al soglio episcopale aretino il francescano Mansueto (1329-1330) e quindi, per effetto dell’autocrazia dei Tarlati in Arezzo, il casato di Pietramala mantiene il controllo dei possedimenti e dei castelli dell’episcopato, privandolo al legittimo proprietario Boso degli Ubertini, che papa Giovanni XXII (1316-1334) ha nominato vescovo di Arezzo già nel dicembre 1326 in sostituzione di Guido, ribelle all’autorità pontificia.
Mansueto resta vescovo soltanto due anni perché, a causa degli scandali che seguono la sua elezione e dell’interdetto che colpisce Arezzo, Piero è costretto a farlo allontanare insieme con gli pseudo-canonici e i frati minori che lo sostengono, riconciliandosi solo formalmente con il pontefice: egli infatti continua a opporsi agli Ubertini e a usurpare le rendite dell’episcopato.
Forte del prestigio familiare, del potere cittadino, del beneplacito imperiale e delle copiose risorse del Patrimonio di S. Donato, Piero prosegue il progetto politico di Guido e supera in modo definitivo il concetto di assetto territoriale comunale, fondato cioè sul binomio città-contado, svolgendo una coordinazione politica di respiro regionale[2].
É forse proprio in questo fortunato periodo che nasce il soprannome con il quale Piero è di frequente citato nelle cronache, e cioè “Saccone”. Infatti, secondo il celebre cronista fiorentino Giovanni Villani, il soprannome gli viene assegnato perché “quanto più acquistava, tanto desiderava”; secondo altri, invece, l’epiteto è più semplicemente dovuto al suo fisico massiccio.
Dopo aver fallito il tentativo di rovesciare la signoria di Ranieri Casali su Cortona nel gennaio 1333, il 13 maggio di quell’anno, Saccone firma un accordo di non-belligeranza con Firenze e, dimostrando nei fatti un realismo politico che non gli è stato sufficientemente riconosciuto nelle cronache, muove in direzione dell’appennino e attacca i domini di vari casati, specialmente i nobili della Faggiola, e minaccia gli interessi di Perugia e della Chiesa.
Nel dicembre 1334 Saccone conquista Casteldelci, centro del dominio territoriale dei Faggiolani, ma è proprio nel fallito tentativo di riprendersi il castello che Neri della Faggiola, figlio del fu Uguccione, riceve per la prima volta il sostegno militare di Perugia che gli invia 600 soldati.
La presa di Casteldelci e la sottomissione della Massa Trabaria (1334), che pure determina la piena ostilità della Chiesa nei confronti dei Tarlati poiché questa regione era stata istituita in provincia pontifica già nel lontano 1209 con Innocenzo III (1198-1216), distolgono Piero dal prestare soccorso al castello di Anghiari che Neri assedia e occupa nell’aprile 1335.
Il Faggiolano, con il sostegno di Perugia e dei conti di Montedoglio, il 25 aprile di quell’anno ottiene anche Sansepolcro, cacciando Roberto Tarlati che ne era signore.
Perugia fa lega con i nemici dei Tarlati e costituisce un fronte unico con cui respingerli: le milizie del comune umbro marciano con quelle cortonesi di Ranieri Casali verso Castiglion Fiorentino, uno dei centri nevralgici del potere territoriale di Piero e dei consorti.
Saccone è furioso. Muove contro il nemico e l’8 giugno 1335 a Carbogniano, l’attuale località di Mezzavia nella strada tra Castiglion Fiorentino e Cortona, sconfigge l’esercito di perugini e cortonesi in maniera così netta (più di mille i morti, trecento i prigionieri, ventiquattro le bandiere tolte al nemico) che gli aretini ne offrono un sarcastico commento: “Sed Perusini sunt debiles: continue fuerunt et semper erunt cum dicto populo arretino[3]”.
Nonostante questa grande vittoria militare, il potere di Piero inizia a compromettersi in modo irreversibile: nell’ottobre 1335 Città di Castello tradisce in favore di Perugia, i fiorentini, approfittando del disfacimento del potere tarlatesco e anche per evitare che Piero riceva i rinforzi richiesti a Mastino II della Scala (1308-1351) già signore di Lucca e nemico della Città del Giglio, ottengono per patti locali Bucine, Galatrona e altre terre del viscontado di Val d’Ambra, mentre i Perugini, il 12 novembre, si accampano nel colle di Pionta, assistono alla celebrazione che Boso degli Ubertini, al loro seguito, svolge all’interno della primigenia chiesa aretina, coniano monete con i suoi argenti, appendono il proprio gonfalone al campanile e, a offesa degli assediati, facendo cavalcare degli asini a quelle donne di malavita che seguono l’esercito, allestiscono un ‘palio delle prostitute’.
Nel febbraio 1336 Castiglion Fiorentino chiede e ottiene la revoca degli accordi di soggezione al Comune di Arezzo mentre in città condanne ed esecuzioni alimentano il malcontento nei confronti di Piero che nel gennaio 1337 inizia a negoziare con Firenze la deposizione della propria signoria che cede ufficialmente alla Città del Giglio con il trattato del 7 marzo 1337 in cambio di molto denaro e numerosi privilegi; il 29 aprile firma anche la resa con Perugia secondo termini certamente più sfavorevoli di quelli decisi con Firenze.
Fedelissimo al partito ghibellino, più volte in lotta con Perugia, Firenze, dove sarà imprigionato per qualche mese nel 1342, e le consorterie nobiliari tradizionalmente in contrasto con i Tarlati, condottiero abile e polito certamente non mediocre, Pier Saccone resta protagonista delle vicende politico-militari del centro Italia fino alla sua morte, lasciando al figlio Marco la guida del casato.
[1]Pasqui IV, p. 66, nota n° 92.
[2]La prima acquisizione fiorentina del dominio sul Comune di Arezzo (1337), Tesi di Laurea di Riccardo Neri, Alma mater studiorum – Università di Bologna, Scuola di Lettere e Beni culturali, Corso di Laurea in Storia, anno accademico 2016-2017.
[3]Annales Arretinorum Maiores.
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