Un condottiero il cui successo ha dato un nome a un continente
Alcuni eventi e figure storici lasciano tracce indelebili ben oltre il periodo in cui sono avvenuti: così è per Amerigo di Narbona, condottiero di ventura reso immortale dalla vittoria dei Guelfi fiorentini contro i Ghibellini aretini nella piana di Campaldino l’11 giugno 1289.
Amerigo di Narbona, italianizzazione di Aimeric V de Narbonne, fu condottiero francese, visconte di Narbona, capitano di ventura, ed operò soprattutto in Italia.
Narbona (Narbonne), la città che gli diede i natali, nella regione francese dell’Occitania, fu la prima colonia di diritto romano fuori dall’Italia (Narbo Martius) e, dopo essere stata capitale del regno visigoto, fu nel Medioevo importante centro religioso, spirituale e culturale, sede di una prestigiosa arcidiocesi. Figlio del visconte di Narbona Amalrico IV, prima di succedergli alla sua morte (dicembre 1270), Amerigo prestò giuramento e prese la croce con l’intento di partire, con il suo signore Carlo I d’Angiò, per l’Ottava crociata condotta da Luigi IX di Francia, cosa che poi non poté fare per i sopraggiunti obblighi dinastici, come risulta dagli scritti del trovatore Raimon Gaucelm de Beziers.
Giunse in Italia per servire il re di Napoli, Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo.Fu proprio il suo legame con il sovrano a portarlo, con un ruolo da protagonista, nelle vicende di Campaldino: Dino Compagni, nella Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi,così ci racconta: “In quel tempo venne in Firenze il re Carlo di Sicilia, che andava a Roma; il quale fu dal Comune onoratamente presentato, e con palio e armeggerie: e da’ Guelfi fu richiesto d’uno capitano con le insegne sue. Il quale lasciò loro messer Amerigo di Nerbona, suo barone e gentile uomo, giovane e bellissimo del corpo, ma non molto sperto in fatti d’arme, ma rimase con lui uno antico cavaliere suo balio”[1] (Guillaume Bertrand de Durfort, conte di Artois, che poi troverà la morte sulla piana di Campaldino). Inesperienza e gentilezza che, nel romanzo storico “La Battaglia” di Riccardo Nencini divengono inquietudine davanti alla sfida contro i Ghibellini: “Logoravano il suo spirito l’impazienza dell’azione e il timore dell’errore, la volontà di ben figurare e lo spettro della morte, predisposizioni dell’animo – lo sapeva- da combattere con uguale forza e determinazione. Temeva, insomma, di non poter corrispondere alla fiducia che in lui aveva riposto Carlo II d’Angiò, non adempiendo con onore alla missione che per il quale era stato scelto.”[2]
In ogni caso, il valore che aveva dimostrato in combattimento accanto a Guillaume di Durfort , lo rese meritevole del comando delle truppe guelfe che avrebbero dovuto attaccare i Ghibellini raccolti ad Arezzo. Durante quella campagna, nel fatidico sabato di San Barnaba l’11 giugno 1289, si svolse la battaglia di Campaldino che concluse vittoriosamente e alla quale deve la sua fama. Fu proprio al grido di “Narbona cavaliere”, che l’esercito guelfo avviò la battaglia. Amerigo conquistò gran parte del territorio aretino ed espugnò molti castelli, tra cui Rondine alle porte di Arezzo. Giunse ad assediare la stessa città di Arezzo ma non riuscì a vincerla: gli aretini, in varie sortite, riuscirono a distruggere le sue macchine d’assedio. Tuttavia la campagna fu un grande successo: al suo ritorno a Firenze fu accolto trionfalmente, tanto da ricevere “un drappo ad oro sopra capo”, come ci racconta un cronista dell’epoca, Giovanni Villani. Ma la sua fama proseguì ben oltre i suoi tempi, come abbiamo premesso: grazie alla sua popolarità, a Firenze e in Toscana molti bambini furono battezzati con il nome di Amerigo e tale nome rimase popolare per secoli. Non è un fatto trascurabile perché proprio dal toscano Amerigo Vespucci proviene il nome di un intero continente, si può quindi ben dire che le sorti di quell’11 giugno 1289 furono determinanti anche per il nome dell’America.
Inoltre “Le novelle della nonna” (1893), di Emma Parodi, raccolta di storie fantastiche ambientate nel Casentino, ci portano la figura del “Sire Amerigo”, come caduto nella battaglia, con il suo spirito inquieto rimasto nella piana alla ricerca di una meritata sepoltura per le sue ossa.
Per approfondire:
[1] Dino Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, pag.9
[2] Riccardo Nencini, La Battaglia”, 2002, pag.87
Sito personale di Mario Venturi www.parvimilites.it
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