Il settore del prestito del denaro
Oltre all’artigianato e al commercio di beni di primo consumo esiste un altro fondamentale settore dell’economia della nostra città Due-trecentesca, il commercio del denaro, che lo storico Scharf non esita a definire “la vera industria aretina”. Sono presenti un migliaio di atti che riportano mutui, e altre forme di prestito quali il deposito, la vendita su pegno fondiario e vendite a termine, in genere di granaglie. Ovviamente non fu un settore sviluppato come a Siena e Firenze, dove rappresentò un vero e proprio volano dell’economia e dove sono attestati grandi banchi di prestatori di denaro, ma fu un’attività di larghissima diffusione e praticata a tutti i livelli della società.
I tre circuiti di prestito
Il prestito era praticato in larga parte in città, ma si estendeva anche nel contado. Esistevano tre circuiti distinti del prestito di denaro: un circuito caratterizzato da prestiti di piccola entità, spesso al consumo, praticata in modo molto diffuso da piccoli finanziatori occasionali e specializzati in microcredito, un circuito più ristretto appannaggio di grandi finanziatori, banchieri di professione che intervenivano solo in operazioni di speculazione molto consistente ed in fine un terzo circuito, che vede il suo esordio nei primi anni del Trecento, costituito da prestatori specializzati nel finanziamento di appalti pubblici.
Il microcredito
I mercanti di denaro appartenenti al primo circuito sono soprattutto cittadini di ceto medio-basso, che prestano somme nell’ordine di poche lire restituite in periodi piuttosto brevi, spesso in corrispondenza della festa di S. Donato. Sono prestiti al consumo e mutui di esercizio a privati cittadini, con qualche prestito più consistente, nell’ordine di qualche decina di lire, a comunità del contado in difficoltà nel pagare la fiscalità al Comune di Arezzo. Dalle fonti documentarie si possono rintracciare 72 diversi personaggi facenti parte dei finanziatori di questo primo circuito di credito, ma solo due di queste figure possono essere identificate con certezza come personaggi attivi nel comune: Marchese notaio e Pagano di Guascone; Ranieri di Comando sappiamo che aveva un figlio definito banchiere, che era detenuto nelle carceri comunali. Delle figure dei prestatori più attive in questo circuito di microcredito sappiamo molto poco perché i dati sono solo desumibili dagli atti di mutuo. Di Guido detto Merlo (autore di una quindicina di prestiti dell’importo medio di una lira), di Francesco di Grotto (autore di otto prestiti ma di importo nettamente superiore, fino a 12 fiorini d’oro) possiamo desumere solo il nome ed anche la residenza non è certa. Dalle fonti del Trecento emergono invece i nomi del notaio Simone di Puccio di Grosso e lo speziale Nicoluccio del q. Porcello. Fra i clienti del notaio ser Simone vi sono i canonici della Pieve di Arezzo e diversi soldati mercenari che in attesa di percepire lo stipendio mensile impegnavano la paga futura, le armi o a volte i cavalli. Oltre a questi, le fonti parlano di membri appartenenti a cinque famiglie aristocratiche di Arezzo: due esponenti dei Testi, uno dei Sassi, uno dei Camaiani, due dei Sassoli e quattro degli Albergotti, ma nel complesso sono veramente pochi i prestiti effettuati da esponenti del ceto nobiliare, prova del fatto che l’aristocrazia cittadina era coinvolta nel finanziamento quasi esclusivo di affari di notevole entità.
Il prestito di ingenti somme
I prestiti effettuati al comune di Perugia negli anni Ottanta del Duecento, per far fronte all’indebitamento di questo a causa della guerra con Foligno, testimonia la presenza del secondo circuito di credito ad Arezzo. Furono effettuate almeno 103 operazioni di mutuo con una somma totale di ben 37000 fiorini circa. Le cifre anticipate in alcuni casi raggiungevano i mille fiorini, uno dei mutui del 1280 consiste in un prestito di 750 fiorini forniti da due Albergotti e da Guascuccio di Pagano Guasconi, probabilmente il figlio di Pagano sopra citato. Nei documenti compare la presenza di tessere mercantili recanti i contrassegni dei Bostoli e dei Tarlati. Le tessere erano dei gettoni di metallo simili a monete, portavano impressi gli stemmi delle famiglie a cui appartenevano e rappresentavano una forma di pagamento simile agli odierni assegni. Erano utilizzate dai ricchi mercanti che preferivano portarle nei viaggi al posto delle monete, e costituivano oggetto di scambio o sotto forma di grano e altri beni materiale o di denaro contante. Il fatto che nelle fonti documentarie compaiano tessere dei Bostoli e dei Tarlati corrobora l’ipotesi che le famiglie di alto lignaggio aretine fossero impegnate in operazioni di credito impegnative. Nell’arco di poco più di sette anni furono prestati al Comune di Perugia quasi 50000 fiorini e questo ci dimostra la presenza nell’Arezzo del XIII secolo della grande banca, chiaramente non delle dimensioni di quelle di Siena e Firenze, ma comunque ad un certo livello.
Il finanziamento degli appalti pubblici
Angelo da Pietramala, padre del futuro signore della città Guido, nel 1307 risulta concessionario del comune per la riscossione dei debiti fiscali di alcune comunità del contado, ma le fonti documentano che subappaltasse la riscossione al finanziere Gerardino di Manovello, specializzato negli appalti pubblici, terzo circuito del credito aretino testimoniato soprattutto dai rogiti di Astolfo di Baldinuccio. Nella documentazione emerge anche il nome del fratello di Gerardino, Tebalduccio. La presenza di una estesa e diffusa attività di microcredito ed una molto più ristretta, sebbene non disprezzabile esistenza di un credito di ampio valore, sono probabilmente in parte riconducibili alla struttura dell’istituzione comunale aretina del XIII secolo, che in questo periodo appare ancora rudimentale e non ben definita. Tale fatto non ha potuto che portare ad una economia più modesta di Siena e Firenze ed a conseguenti necessità finanziarie più limitate, soddisfacibili con il ricorso ad un credito limitato. Questo tra l’altro spiega anche il motivo dell’assenza di prestatori stranieri in città.
Possiamo quindi concludere dicendo che tra il XIII ed il XIV secolo ad Arezzo era presente una realtà produttiva costituita da una ampia base di professionisti dediti ad attività di artigianato, commercio al dettaglio e microcredito, ed una più ristretta fascia di cittadini costituita da esperti di legge, giudici e notai, e mercanti di livello più elevato, appartenenti anche ad alcune nobili famiglie aretine, impegnati in un giro di affari molto più ampio che coinvolgeva anche altre città d’Italia e i mercati esteri, non di meno dediti ad attività di prestito di denaro di grandi entità.
Per approfondire:
Scharf, Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)
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