Nel corso dei secoli, l’aquila ha assunto molteplici significati e il suo utilizzo simbolico in monumenti, monete o insegne è documentato fin dalle civiltà dell’antico Oriente. Secondo le tradizioni orientali e romane, il nobile volatile era in grado di ringiovanire una volta invecchiato e la sua forza si manifestava nella capacità di fissare il sole. Garante di vittoria e segno di trionfo, per i Romani era anche una manifestazione del padre degli dei e protettore dello Stato, Giove. Essi fecero pertanto dell’aquila l’insegna principale delle legioni e i soldati le attribuivano un vero e proprio culto. Oltre a incarnare il prestigio e la dignità del celebre reparto militare, essa costituiva in senso più ampio il simbolo dell’onore di Roma, tanto che la sua perdita in battaglia era considerata un’infamia inaccettabile. La presunta invincibilità dell’aquila ben si sposava dunque all’idea di sovranità e pertanto fu utilizzata come emblema da gran parte degli imperi sorti in Occidente, che generalmente rivendicavano l’eredità di Roma e la sua pretesa al potere universale. Si pensi a tal proposito all’impero bizantino, al sacro romano impero, all’impero russo, a quello napoleonico, all’Italia fascista.
Nel Medioevo, pur rivestendo significati diversi, l’aquila era in effetti solitamente identificata con l’impero[1]. Nel XII secolo il sovrano Federico Barbarossa aveva abbandonato i tre leoni passanti, simbolo della casata regnante di Svevia, con l’aquila, raffigurata nera in campo oro, con il capo rivolto a destra. Tale era il vessillo in cui generalmente si riconoscevano nel XIII secolo i ghibellini, la fazione che in ogni città dell’Italia centrosettentrionale parteggiava, almeno formalmente, per l’impero, rivaleggiando con i guelfi, sostenitori del papa. L’imperatore poteva inoltre concedere l’utilizzo dell’aquila sugli stemmi di casata in riconoscimento della fedeltà dimostratagli da determinati personaggi, come accadde, nel caso di Arezzo, ai Tarlati.
L’aquila nera in campo oro sfoggiata da Signa Arretti ricorda pertanto l’antica fazione ghibellina della città, che ebbe un ruolo influente nel periodo medievale. Infatti, sebbene le lotte intestine fossero frequenti e gli equilibri tra le parti mutevoli, Arezzo era tradizionalmente ritenuto un centro filosvevo. A tal proposito ricordiamo che nel 1289, a Campaldino, fu l’insegna imperiale retta dal capitano Guidarello di Alessandro da Orvieto, che perì nello scontro, uno dei principali vessilli dell’esercito aretino e che agli inizi del Trecento, nel corso di una nuova campagna militare contro la rivale ghibellina, a Firenze fu proibito dipingere o scolpire il segno dell’aquila sulle porte della città.
In conclusione, è bene tuttavia sottolineare che non sempre il rapace richiamava l’impero. In tal senso è emblematico il caso della Parte Guelfa di Firenze, che su concessione di papa Clemente IV esibiva sullo stemma proprio un’aquila, seppur rossa, che stringeva tra gli artigli un drago verde, rappresentazione della Giustizia che trionfa sulle forze demoniache la cui incarnazione, agli occhi del papa, non potevano che essere i sovrani svevi e i loro seguaci.
Per approfondire
- VV. Aquila in “Enciclopedia Italiana”, 1929.
Canaccini F. Battaglie di immagini tra guelfi e ghibellini nella Toscana comunale. Sull’uso di fonti sfragistiche ed araldiche circa la lotta di fazione in Toscana, in “Studi Medievali”, 53, 2012, pp. 635 – 666.
Invincibile e immortale, in “Medioevo”, n. 245, 2017.
Cascarino G. L’esercito romano. Armamento e Organizzazione, vol. I, il Cerchio, 2007.
Il sabato di San Barnaba. La battaglia di Campaldino, a cura di Scramasax, Milano, 1989.
[1] Con impero si intende il sacro romano impero, che nel Basso Medioevo si estendeva principalmente sulla Germania, sulla Borgogna e sull’Italia centro-settentrionale. Gli imperatori, incoronati dai papi fin dal IX secolo con Carlo Magno, costituivano la massima autorità politica della cristianità, superiore almeno in teoria anche ai re di Francia e di Inghilterra. Molto frequenti furono tuttavia i contrasti con i pontefici, impegnati a reclamare la supremazia del soglio di Pietro su qualsiasi altra carica.
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