Prima di leggere questo racconto, se vuoi, puoi consultare l’introduzione storica a questa vicenda.
E’ venerdì mattina di un tiepido giorno di fine marzo del 1330. Ad Arezzo il cielo terso è decorato da nuvole candide e le torri sembrano riscaldarsi al primo accenno di primavera. Farinata, sarto da due generazioni, abitante da sempre in una discreta casa nel quartiere di Porta Crucifera, si sta preparando per salire al palazzo comunale: ha chiesto udienza ai Signori Otto per parlare di un problema che affligge lui e tutti gli abitanti della sua contrada ormai da tempo: le numerose botteghe dei calderai, che affacciano lungo la strada, turbano il quieto vivere: per costruire le caldaie , i paioli e i tegami in rame battono in continuazione i loro martelli, e viverci vicino diventa un supplizio. E’ l’ora che i Signori Otto riuniscano il consiglio generale e che vengano presi provvedimenti in merito; d’altronde il problema è così tedioso che se ne parla da tempo, è stata prevista una soluzione addirittura nello Statuto comunale, ma nessuno ha mai preso in mano la situazione, è arrivata l’ora di mettere la parola fine a questo annoso problema!
E’ venuto a trovarlo Orlandino figlio di Ugo, contadino della viscontèa di Cegliolo, territorio sotto la giurisdizione di Porta Sant’Andrea. Là Farinata ha un poderetto nel quale la piccola vigna è stata affidata da anni alle cure di Orlandino, con il quale ha instaurato rapporti ormai molto cordiali. Approfitta della sua presenza in città per farsi accompagnare e per dare la possibilità al contadino di entrare nel palazzo del Comune, dal momento che non ha mai avuto occasione di metterci piede. Con una battuta Farinata si è raccomandato al conoscente: “Mettiti i panni più buoni che hai, non farmi fare brutta figura in comune, ricordati che sono un sarto, ed ho una certa reputazione in città!”.
In cima a via di Pellicceria si erge maestoso il palazzo, sovrastato dalla torre di mattoni rossi sulla quale riluce al tiepido sole, la grande campana, ai cui rintocchi si riunisce il consiglio generale dei Quattrocento . Farinata e Orlandino prendono la scala di sinistra che costeggia il lato meridionale del palazzo, svoltano a destra ed entrano dalla grande porta di ingresso che li introduce al piano inferiore. Appena entrati si trovano in un ambiente piuttosto ampio, affollato, in fondo al quale, prima della bella scala in pietra che porta al piano superiore, sono posizionati quattro tavoli in noce, di buona fattura, dietro ad ognuno dei quali si trovano seduti con fare solenne un giudice e tre notai. Sopra la testa dei notai, in corrispondenza di ogni tavolo, sulla parete è dipinto lo stemma di una Porta. Al tavolo corrispondente allo stemma di Porta Burgi sono seduti due personaggi: uno è ben vestito, dall’abito si direbbe un mercante, si muove con fare agitato, tiene per la giubba l’altro che ha l’aria e l’aspetto molto più dimessi. Il primo batte un pugno sul tavolo ed i notai, pur non scomponendosi, cercano di farlo parlare con meno foga. Orlandino,curioso,passando vicino al tavolo tende l’orecchio e carpisce poche se pur distinte parole: “Devi pagare cento soldi!! Lo dice lo Statuto! Lo so io il danno che hai fatto alla mia vigna” (Art.28) . Orlandino, forse perché del mestiere, capisce subito che il primo personaggio aveva sorpreso il secondo, evidentemente un pastore, a pascolare le proprie bestie di notte nella sua vigna e pretende giustizia. Rivolgendosi a Farinata gli chiede ragione dei quattro tavoli e degli stemmi, e Farinata gli spiega che quelle sono le scrivanie dei Giudici per le cause civili, uno per ogni Porta. Qualsiasi cittadino che ha qualcosa in sospeso con un altro può portarlo dal giudice che ha giurisdizione per la Porta dove abita la persona sospetta di reato e può chiedere giustizia.
Farinata mentre spiega al conoscente ciò che sta vedendo prende le scale in pietra che li introduce al piano superiore. Qui si trovano in un disimpegno, seppur piuttosto ampio, al quale si affacciano da un lato varie stanze fra le quali quella dei Signori Otto, dai quali Farinata andrà in udienza, la stanza del Camerlengo e quella del Cancelliere, e dall’altro la porta di un grande salone. Farinata chiama vicino a sé Orlandino e abbassando la voce con fare complice gli dice: “vieni con me, ti faccio vedere la sala del consiglio generale. Affacciati soltanto, non possiamo entrare, stanno facendo un consiglio, ed i semplici cittadini non sono ammessi, pena una multa di 20 soldi, quindi dà un’occhiata ma non farti vedere”. Orlandino, recepito l’invito dell’amico ma trepidante di curiosità ed emozione come un bambino che viene introdotto ai segreti degli adulti, introduce appena la testa nello spiraglio dell’uscio semichiuso, e con fare prudente ruba qualche istante della riunione di consiglio. Incredibile, lui umile lavoratore della terra stava assistendo alle decisioni in merito agli affari del Comune! Intanto Farinata, appeno dietro a lui, con la bocca appoggiata all’orecchio che sporgeva verso l’esterno, cerca di spiegare con un filo di voce ad Orlandino quello che sta vedendo: “Quello al centro seduto sulla cattedra è il Podestà…”. Orlandino si gira con gli occhi grandi di sorpresa verso l’amico, non potendo credere di vedere di persona il personaggio più illustre dell’intero Comune. “Sta presiedendo la seduta di consiglio”, continua Farinata. “Quello seduto a fianco sulla scrivania chino sul libro a scrivere è il Cancelliere , sta redigendo il verbale di consiglio. Vedi, ora sta scrivendo le parole di quel consigliere che vedi in piedi a parlare, Guglielmino di Boso, notaio. Il Podestà ha messo in discussione un argomento, probabilmente suggerito dai Signori Otto che dopo ci accoglieranno in udienza, e ci saranno massimo quattro interventi dei consiglieri”. Orlandino rimane rapito fino alla fine del breve intervento di Guglielmino di Boso, poi un personaggio vestito con panni colorati comincia a distribuire ad ogni consigliere un piccolo oggetto scuro. Orlandino si gira verso l’amico con fare interrogativo. Farinata prontamente continua il suo commento: “Quello è un araldo comunale, sta distribuendo una pallottola di piombo ad ogni consigliere, poi passerà con due bussole, due contenitori allungati di legno di bosso. Chi farà cadere la pallottola nella prima bussola sarà favorevole alla proposta che stanno discutendo, che la inserirà nella seconda sarà contrario. Alla fine della votazione gli araldi conteranno le pallottole nelle due bussole e vincerà la decisione che avrà raccolto più consensi. Ma ora”, dice Farinata al conoscente mettendogli una mano sulla spalla, “vieni con me, che i Signori Otto ci stanno aspettando, vediamo di esporgli il problema che affligge la mia contrada da tempo.Chissà che non mi ascolteranno e porteranno la mia richiesta al prossimo consiglio…”.
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