Composizione sociale dell’Arezzo duecentesca
Arezzo in questo periodo conta probabilmente intorno a 20.000 abitanti ed è in piena crescita demografica come ricorda Scharf in “Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)”. Luca Berti in “Arezzo nel tardo Medioevo (1222-1440)” delinea in poche righe l’organizzazione della società aretina del due-trecento: innanzi tutto abbiamo l’aristocrazia nobiliare che ha possedimenti nel contado, ricca e dedita alla vita militare, poi abbiamo il “popolo” costituito da quella che oggi chiameremmo l’alta e media borghesia ossia mercanti ed imprenditori, banchieri e prestatori di denaro, speziali, medici, orefici, giudici e notai, e che allora venne definito il “popolo della media gente”, e dalla bassa borghesia rappresentata da piccoli artigiani, sarti, tintori, lanaioli, falegnami, macellai. Appare chiaro che il primo fu chiamato “popolo della media gente” perché posto ad un livello sociale intermedio fra l’aristocrazia e la borghesia più umile. Al di sotto di questi vi era il più numeroso strato sociale costituito dalla plebe urbana alla quale appartenevano coloro che esercitavano i mestieri più umili, ma anche poveri, nullatenenti e mendicanti e gli abitanti del contado, dediti al lavoro della terra e all’allevamento del bestiame. Ovviamente quest’ultima vasta categoria sociale era totalmente avulsa dalla vita politica.
La Borghesia aretina
In questo scenario la borghesia era distribuita su tutto il territorio urbano anche se ovviamente vi era una predilezione per l’area intorno a Piazza Grande, luogo simbolo della città ma anche principale spazio commerciale. Un’idea piuttosto precisa della vita in Piazza Grande, chiamata nel medioevo Platea Communis, ci è data da Marco Giustini nell’articolo “Primi lineamenti della perduta città: in principio fu Crucifera, Annali Aretini XXIV, 2016”. Scrive Giustini: “la piazza si presentava originariamente come una grande arena incassata alle pendici delle tre sporgenze collinari che componevano il profilo urbano, atta ad accogliere la popolazione locale in ogni sua manifestazione, a contenere le pubbliche arringhe e ovviamente le pratiche commerciali, specie il mercato dei beni primari di sostentamento. All’interno di questa prospettiva si inquadrano le notizie frequenti di vasai, barbieri, calzettai, setaioli, cambiavalute, lanaioli, speziali che con le loro botteghe coloravano il circuito della piazza e facevano da sfondo ai frenetici mercati dei generi alimentari quali frumenti, erbe, ortaggi e carni di vario genere. Il commercio di derivati animali, così come per i frutti della terra, avveniva logicamente all’interno o nelle dirette vicinanze degli spazi pubblici e di maggior frequentazione: l’odonimo di via Pescheria, che dal margine inferiore sinistro della piazza si diparte ancora oggi verso l’area meridionale della città, ci ricorda ad esempio la borgata dove si concentravano le abitazioni dei pescivendoli e dove di conseguenza si tagliava e si vendeva il pesce. Non ci si dovrebbe dunque stupire, per tornare alla nostra contrada, di apprendere come lo scomparso burgus Crucifere, posto esattamente al canto opposto della piazza rispetto alla Pescheria, fosse inserito nel panorama commerciale della platea Communis di Arezzo e si configurasse fra XIII e XIV secolo come l’area prediletta per la lavorazione delle carni animali. […] Se in principio le carni venivano macellate e trattate sui banchi ubicati sovente presso le loro abitazioni, successivamente le dinamiche di concorrenza esterne ed interne alla Corporazione furono probabilmente i
motivi fondanti che portarono alla costruzione di uno spazio mercantile riparato, simile ad un loggiato, denominato la loggia dei Carnefici e posizionato presso l’imbocco della contrada Crucifera, e quindi in luogo delle odierne logge Vasari: la struttura, oltre a garantire maggior decoro alla piazza, era allestita per consentire ai carnaioli di praticarvi in esclusiva l’arte del macello, ed era regolata da una norma stringente che per contenere la concorrenza fra gli stessi li intimava a posizionarsi uno accanto all’altro col proprio banco e attendere in silenzio l’arrivo dei clienti. Questo caratteristico complesso, che col passare del tempo prese ad essere chiamato Beccheria, sopravvisse fino all’ultimo quarto del XVI secolo quando, noto ormai col nome di Beccherie vecchie, fu abbattuto per la costruzione delle odierne logge Vasari”. Come accennato nell’articolo appena citato gli odonimi delle vie limitrofe a Piazza Grande ci testimoniano la presenza di botteghe artigiane dedite ad attività produttive specifiche. Oltre alla già citata via Pescheria ricordiamo via Seteria, via Pellicceria e via Bicchieraia. In queste strade le case erano munite di fondachi che si affacciavano sulla strada nei quali si svolgeva il mestiere.
L’Aristocrazia aretina
I nobili abitavano in domus ossia agglomerati talvolta fortificati, che in alcuni casi davano il nome a un borgo, inteso in senso di isolato (come il borgo degli Albergotti ancora presente di fronte a Piazza Grande) ampiamente frammiste fra le varie case, nelle zone centrali della città.
Per approfondire:
Scharf, Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)
Berti, Arezzo nel tardo Medioevo (1222-1440)
Giustini, Primi lineamenti della perduta città: in principio fu Crucifera, Annali Aretini XXIV, 2016
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