Il settore tessile
Ma senza ombra di dubbio il settore maggiormente sviluppato nell’Arezzo due-trecentesca era quello tessile. Si andava dalla produzione delle materie prime come lana, lino e cotone, al commercio del guado, alla tintoria, alla produzione e commercializzazione di panni, alla sartoria, alla produzione di calze e calzature. Tra le società menzionate nei documenti due-trecenteschi ne troviamo una per la macinatura e due per il commercio del guado, due per l’arte della lana, una per il commercio dei panni di lana, una per l’arte del bombace (il nome antico per la bambagia, che dopo essere stata trattata diventa cotone), una per la follatura e la vendita di cotone, due per la compravendita di panni e pelli e una per l’arte dei panni vecchi, una per commerciare in panni e guado, una per esercitare la sartoria, e una per il commercio di pelli. Dando uno sguardo alla filiera del settore tessile possiamo desumere dallo studio delle fonti documentarie che la maggior parte dell’attività svolta ad Arezzo era concentrata nella trasformazione delle materie prime in prodotti finiti come i panni, considerato poi che la loro trasformazione in abiti, farsetti e gonnelle avveniva probabilmente in ambiente domestico a cura dell’acquirente e che quindi non vi è rimasta grossa traccia nei contratti notarili a noi giunti. Fa notare Andrea Barlucchi nel suo libro “La Mercanzia ad Arezzo nel primo Trecento” che dalla documentazione notarile emerge l’immagine di una organizzazione del lavoro caratterizzata dalla centralità della figura del lanaiolo mercante-imprenditore che coordinava tutta la filiera produttiva tessile. Nello Statuto comunale del 1337 si attesta riferendoci ai cimatori, coloro cioè che tagliavano la peluria sui panni finiti, che lavoravano panni provenienti dalla Francia o comunque da oltralpe oppure anche da Firenze, testimonianza di una vivacissima attività aretina nel settore. Conferma ne è il fatto che agli inizi del Trecento è testimoniata in città la presenza di filatoi a ruota e telai larghi che rappresentavano l’ultima novità tecnologica dell’industria laniera di quel periodo. Ci sono testimonianze inoltre del fatto che ad Arezzo la manifattura locale fosse specializzata nella produzione di un panno molto apprezzato e considerato di pregio, ispirato a quello ben più famoso realizzato nella città di Milano, che per questo prendeva il nome di “panno di Arezzo di Milano”. Le vendite dei panni di lana e cotone erano in genere al dettaglio, i costi di questi come quelli di farsetti e gonnelle erano probabilmente leggermente più bassi di quelli fiorentini ma sostanzialmente in linea con questi ultimi.
Dalla documentazione è giunta a noi la testimonianza di un sarto, Orlando di Giovanni di Orlando, la cui bottega era in grado di fornire un’ampia varietà di merce, che andava dal panno al prodotto finito. Aveva alle sue dipendenze un apprendista sarto che probabilmente cuciva per lui farsetti, molto richiesti dalle donne aretine dell’epoca, e addirittura si poteva permettere di pagare un altro sarto quando la richiesta della clientela superava la capacità produttiva della sua bottega. Annota Scharf parlando dei salari in questo settore che “si ha l’impressione che il lavoro fosse ben retribuito ad Arezzo”. La produzione tessile aretina doveva soddisfare soprattutto il mercato urbano mentre per quanto riguarda le materie prime come lana e soprattutto guado nella seconda meta del Duecento Arezzo esportava fino a Perugia e Bologna.
Per approfondire:
Scharf, Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)
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