Chi transiti lungo via Ripoli a Firenze può notare, all’incrocio con via Accolti, un modesto angolo di terreno delimitato da un recinto: si tratta del Cantone di Arezzo. Al suo interno svetta una colonna in granito, eretta nel 1921 contestualmente a numerose iniziative che le autorità fiorentine e altre istituzioni promossero a Firenze e in numerose località toscane e dell’intera penisola in occasione delle celebrazioni per il Secentenario della morte di Dante Alighieri[1].
L’idea di realizzare quello che doveva essere un piccolo ricordo marmoreo risaliva tuttavia al 1911, quando la civica Commissione per la denominazione delle piazze e delle vie si interessò a una tradizione locale secondo cui, in corrispondenza della piazzola, sarebbero stati inumati i prigionieri aretini catturati nel corso della battaglia di Campaldino – combattuta l’11 giugno 1289 – e deceduti durante la traduzione a Firenze. Versioni più recenti dell’episodio raccontano che i fiorentini si piegarono a tale atto di pietà solo con l’assicurazione, da parte dei capitani ghibellini, che Arezzo si sarebbe dovuta occupare della gestione dell’area[2].
La verosimiglianza della storia pareva rafforzata dal fatto che, catasto alla mano, il triangolo di terra risultava effettivamente appartenente al Comune di Arezzo[3] e, consideratone lo scarso valore economico, pareva ovvio che il motivo di tale proprietà non potesse che risiedere su motivi storici. Un altro elemento interessante era la presenza di uno scudetto in pietra sul muro prospiciente al piazzaletto, oggi non più esistente e già all’epoca talmente rovinato da essere ormai indecifrabile. Inoltre, gli abitanti della zona in cui si trova il Cantone erano generalmente a conoscenza della storia dei prigionieri, tanto che il rappresentante di un comitato locale scrisse una lettera di lamentele, indignato per lo stato in cui esso versava, ridotto ormai a una latrina e privo di qualsiasi lapide commemorativa[4].
Il signor Alfredo Afferni, giovane segretario della Commissione, si prodigò pertanto nella ricerca di prove storiche a conferma della tradizione. Fu contattato il Comune di Arezzo, che a sua volta interpellò il direttore dell’Archivio storico, lo studioso Ubaldo Pasqui, il quale tuttavia dette risposte scoraggianti: non solo in città una simile tradizione era del tutto sconosciuta, ma dalle sue indagini risultava che essa non vi fosse giunta neanche in passato, poiché nessuno dei numerosi cronachisti locali attivi dal XVI secolo in poi l’aveva registrata. Inoltre, le ricerche sui registri catastali del XVI e del XVII secolo dettero esito negativo. Pasqui suggerì di effettuare un saggio di scavo per constatare la presenza di resti, ma il suo consiglio non ebbe seguito[5].
Sfortunatamente, la vicenda all’origine del Cantone di Arezzo fu rinvenuta in soli due testi, peraltro recenti: si trattava de I dintorni di Firenze dello storico Guido Carocci (1851 – 1916)[6] e della monumentale opera in 21 volumi sugli aspetti civili, religiosi e topografici di Bagno a Ripoli, realizzata dall’allora segretario comunale Luigi Torrigiani (1823 – 1905)[7]. Rispetto a Carocci, questi aveva aggiunto un particolare interessante, rilevando che nel 1782 il tronco di strada denominato via di Mezzo, confinante con la piazzola, era stato venduto dalla Comunità di Bagno a Ripoli alle monache di S. Giorgio, ma che il Cantone era stato escluso dal contratto. L’erudito si persuase che il motivo dell’esclusione fosse imputabile al Comune di Arezzo, “che in tempo di calma dagli odi civili deve averne acquistata la proprietà[8]“.
Stando a una nota della Commissione, Torrigiani si era anche interessato personalmente alla questione, proponendo di delimitare l’appezzamento di terreno con una cancellata. A tal fine aveva proposto al proprietario del lotto confinante, tale signor Pagni, di cederne alcuni metri quadrati ma, non avendo ottenuto che un rifiuto, l’iniziativa non aveva avuto sbocchi ulteriori. Fu Ersilia Quercioli, vedova Pagni, a dare queste informazioni alla commissione, aggiungendo che era stato un proprio avo a comprare il podere, proprio dalle monache di S. Giorgio. La donna tuttavia sostenne che non ci fosse menzione nel contratto della proprietà aretina del resede confinante e confermò che tentativi di scavo non avevano mai avuto luogo[9].
La suggestiva ipotesi di Torrigiani doveva inoltre trovare parziale delusione dalle ricerche condotte dai funzionari dell’Archivio di Stato di Firenze, sollecitati dalla Commissione. Costoro risalirono ai beni del convento delle monache e all’archivio notarile si poté effettivamente scovare il contratto di vendita, che tuttavia comprendeva originariamente anche la piazzola, poi esclusa per decisione delle monache acquirenti. Nessun motivo veniva addotto per l’esclusione, che pertanto non poteva essere motivata azzardando una già esistente proprietà aretina. A tal proposito, le ricerche archivistiche proseguirono quanto riscontrato fino a quel momento: sui campioni di Bagno a Ripoli del 1815 e del 1776 non fu trovato impostato il Comune di Arezzo, così come nulla risultava dal ben più antico catasto di Arezzo del 1427. Furono anche effettuati spogli di fondi archivistici risalenti ai secoli XV – XVIII per trovare indirettamente delle tracce, ma anche in queso caso i tentativi furono infruttuosi[10]. Il Comune di Arezzo risultava menzionato solo sul catasto leopoldino del 1832: stando alle ricerche, si trattava della prova documentaria più antica[11]. Accogliendo l’ipotesi che la proprietà sia da attribuire a motivi storici, tale attestazione dimostrava perlomeno come nella prima metà del XIX secolo la tradizione fosse già in auge.
Nell’impossibilità di poter approfondire ulteriormente, gli archivisti si fermarono. La commissione ritenne soddisfacenti i risultati ottenuti e nel luglio del 1912 ne informò le autorità fiorentine, che in breve tempo stabilirono di collocare, previo accordo con Arezzo, una lapide marmorea sul muro prospiciente la piazzola. La stesura dell’iscrizione fu affidata allo studioso e senatore Isidoro del Lungo, che ben volentieri si prestò all’incarico[12]. Dopo alcuni mesi, approntati progetto e iscrizione, fu richiesta l’adesione di Arezzo che accolse favorevolmente l’iniziativa fiorentina[13]. Le autorità aretine vollero dare un segno concreto della loro partecipazione e stabilirono di inviare in dono una colonna di epoca romana da sistemare all’interno del Cantone[14]. Nella sua lettera alla controparte fiorentina, il sindaco di Arezzo puntualizzò che la scelta era ricaduta su una colonna romana perché “alla triste rievocazione delle medievali discordie che per secoli tennero separate Firenze ed Arezzo sia accompagnato il ricordo di quella classica civiltà durante la quale le due Città furono, come or sono ritornate, sorelle[15]“.
Una volta arrivata la colonna, nel 1915, Del Lungo modificò la bozza dell’iscrizione in modo che ricordasse anche il dono di Arezzo[16]. Tuttavia, quando tutto era ormai pronto, il progetto non fu realizzato.
I motivi del mancato completamento vanno forse ricercati nelle mutate circostanze di quei mesi, che videro l’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra. La colonna fu trasportata al cimitero del Trespiano, oggetto in di lavori di allargamento resisi necessari per ospitare le salme dei feriti deceduti a Firenze e dei fiorentini caduti sui campi di battaglia[17]. Si trattava di una triste eco della realtà del conflitto, che in poche settimane aveva messo a tacere la retorica di chi aveva visto in esso un’opportunità da cogliere e non, invece, una massacro da evitare.
Il progetto del cantone tornò in auge solo a guerra conclusa. Come si è detto, la realizzazione del monumento venne finalmente portata a termine in occasione delle celebrazioni del Secentenario dantesco, nel 1921. Esso cadde progressivamente nell’oblio e, nonostante la sua storia continuasse a essere conosciuta localmente, la piazzola finì abbandonata all’incuria.
In tempi recenti, la manutenzione del Cantone di Arezzo è stata ripristinata grazie all’interesse dimostrato dall’associaazione Signa Arretii, che da alcuni anni, in occasione dell’anniversario della battaglia di Campaldino, si reca a commemorarne i caduti, sia in via Ripoli sia a Poppi, in prossimità del luogo dello scontro[18]. Una rinnovata attenzione è stata quindi prestata anche dal Comune di Firenze, che non manca di curare il giardinetto attorno alla colonna e di lasciare a sua volta dei fiori in omaggio alle vittime.
In conclusione, merita un commento l’attenta ricerca condotta a suo tempo dalla Commissione per la denominazione delle piazze e delle vie. La mancanza di cronache di epoca medievale e moderna che registrino l’episodio del seppellimento dei prigionieri aretini, unito alla mancanza di prove, relativamente allo stesso periodo, della proprietà aretina, che non risulta neanche nei registri catastali superstiti se non a partire da quello del 1832, invitano a ipotizzare che la tradizione riportata da Carocci e Torrigiani si sia formata in tempi relativamente recenti, forse non anteriori XVIII secolo. È peraltro assai improbabile che un racconto puramente orale si tramandi per molti secoli, almeno senza snaturamenti significativi.
Per converso, va comunque notato che non necessariamente episodi simili, probabilmente non rari, venivano rilevati dai cronachisti: l’inumazione di prigionieri comuni non doveva essere ai loro occhi un evento significativo. Inoltre, la mancanza di uno scavo che stabilisca cosa effettivamente si celi sotto alla colonna lascia aperti gli interrogativi. Quand’anche fosse stabilita la non veridicità della tradizione, sarebbe comunque interessante conoscerne origine e scoprire chi fu ad acquisire quel piccolo terreno a nome del Comune di Arezzo.
Resta quindi ancora un po’ di mistero attorno a questo monumento, che insieme a molti altri, troppo spesso memori di eventi più recenti e luttuosi, ci invita a preservare la pace e la concordia faticosamente raggiunta.
A cura di Gabriele Roggi
Per approfondire:
[1] A tal proposito, fu nella cornice del Secentenario dantesco che venne innalzata la colonna di Campaldino nei pressi di Poppi, tutt’ora esistente. Com’è noto, il poeta partecipò ancor giovane al celebre scontro, da lui riecheggiato nella Commedia. Sui lavori di costruzione della colonna di Campaldino vd. Archivio storico del Comune di Firenze (ASCFi) 5073 “Secentenario di Dante – Lavori”, fasc. “Cantone di Arezzo, colonna commemorativa”.
[2] Vd. http://www.firenzetoday.it/cronaca/storia-canto-aretini.html
[3] Vd. ASCFi, 5208, “Atti della Commissione per la denominazione delle piazze, vie e per le lapidi commemorative”, fasc. 23 “Campaldino, ricerche storiche relative alla tradizione secondo cui alcuni prigionieri aretini di detta battaglia sarebbero sepolti in un appezzamento di terreno preso la Colonna”, comunicazione dell’agenzia delle Imposte dirette di Firenze del 18 marzo 1912”. Il reddito imponibile ammontava a 1 centesimo.
[4] Vd. ASCFi, 5073, cit.
[5] Cfr. ASCFi, 5208, cit. lettera del sindaco di Arezzo del 18 marzo 1912. Su indicazione dell’assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Firenze fu contattato dalla commissione anche il professore aretino Agostino Savelli, suo amico, che condusse un’indagine altrettanto infruttuosa.
[6] Cfr. G. Carocci, I dintorni di Firenze, vol. II: sulla sinistra dell’Arno, Firenze, 1907, p. 66.
[7] L’opera è stata stampata solo in parte. Torrigiani riuscì a far pubblicare solo 5 volumi, ma il manoscritto è tutt’ora conservato. Per ulteriori informazioni vd. il periodico del Comune di Bagno Ripoli: http://www.comune.bagno-a-ripoli.fi.it/sites/www.comune.bagno-a-ripoli.fi.it/files/documenti/1262871340932_BagnoaRipoli3-2007.pdf
[8] Per la trascrizione del passo in questione vd. ASCFi, CF 5208, cit. lettera della Commissione del 18 marzo 1912.
[9] Vd. ASCFi, CF 5208, cit . nota della commissione, non datata.
[10] Vd ASCFi, 5208 cit. lettera del soprintendente dell’Archivio di Stato di Firenze del 24 aprile 1912 sui risultati della ricerca.
[11] Cfr. ibid.
[12] Vd. ASCFi, 803 “Protocollo delle deliberazioni di Giunta”, pp. 341, 342, deliberazione urgente del 23 luglio 1912”.
[13] Vd. ASCFi, 5208, cit. carteggio tra i comuni di Firenze e Arezzo, 20 marzo 1913 – 5 aprile 1913.
[14] Cfr. ASCFi, 5208 cit. lettera del sindaco di Arezzo, 14 luglio 1913.
[15] Vd. Ibid.
[16] Vd. ASCFi 5208 cit. lettera autografa di Isidoro del Lungo del 3 settembre 1915, contente l’iscrizione modificata.
[17] Le sorti della colonna si conoscono solo dalla delibera della Giunta del 13 aprile 1921, in cui si diceva che la colonna era al trespiano. Il cimitero viene nominato spesso nelle delibere di questi anni, quasi sempre relativamente a nuove sepolture per i caduti.
[18] Il presidente dell’Associazione, Stefano Giustini, merita una menzione particolare dal momento che è stato il primo a interessarsi al Cantone di Arezzo, riuscendo anche a ottenere da un discendente di Isidoro del Lungo una lettera dell’illustre avo, da cui è partita l’indagine per il presente contributo.
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