Dieci anni più tardi il destino delle Arti aretine come soggetti politicamente attivi cambia radicalmente. Con la prima cessione di Arezzo a Firenze da parte di Pier Saccone Tarlati e la stesura del nuovo Statuto Comunale del 1337 si decreta la cancellazione di tutte le Corporazioni artigiane esistenti e la riduzione del loro ruolo a quello di semplici Compagnie religiose laicali e questo perché come specificato nella rubrica CIIII del primo libro l’esperienza delle Arti e l’operato dei suoi Rettori è risultata molto sconveniente per la città di Arezzo. Sono cassate tutte le Arti tranne quella dei mercatores alla quale è permesso avere dei Consoli ed ordinamenti, le altre si possono riunire, se lo vogliono, per fare attività di carità o per celebrare la festa del proprio patrono. Una ulteriore eccezione è riservata a giudici, notai e medici ai quali è riservata la facoltà di nominare Rettori e Camerario. Tuttavia Barlucchi ipotizza che successivamente siano state riammesse anche altre Arti, come per esempio l’Arte della Lana per l’importanza economica che rivestiva nel settore produttivo aretino e quella del Cambio, ma sicuramente siamo ben lontani dalle 12 e poi 15 Arti presenti alla fine del 1200. Sono messe in atto, per mezzo dello Statuto comunale misure che denunciano la volontà da parte della dominante Firenze di aumentare il controllo pubblico sull’attività produttiva aretina, di fissare tetti retributivi, di limitare fortemente i margini di scelta ed in definitiva di subordinare l’azione del comparto artigianale e commerciale di piccola entità ad interessi superiori. Queste delibere in definitiva sono volte a coartare la libera espressione del lavoro in primis degli artigiani del settore tessile come sarti, tintori, cimatori, drappieri, farsettai, calzettai, ed anche di altri settori come quello dei beccai, vasai, fornaciai ed infine di figure professionali che ad Arezzo dovevano essere particolarmente presenti come gli speziali.
Il controllo sull’osservanza delle regole durante il primo governo fiorentino: l’Ufficiale di Freno
La responsabilità del controllo dell’osservanza di queste norme statutarie è affidata all’Ufficiale di Freno, un notaio appartenente alla Curia del Podestà, e pertanto forestiero, la cui carica dura sei mesi, il quale due volte al mese deve investigare nel territorio cittadino sulle eventuali trasgressioni delle leggi in questione. Per contestare una infrazione deve convocare dieci testimoni per quartiere, anche se poi è considerato sufficiente l’intervento di due testimoni diretti o di un testimone diretto e cinque indiretti. Una volta accertata la colpevolezza del sospettato, l’Ufficiale di Freno ha 20 giorni per effettuare la condanna e verificare che le multe siano effettivamente pagate al Camerario del Comune. L’Ufficiale di Freno si avvale di commissioni scelte dal governo fiorentino che fissano i prezzi della merce. Così per esempio i beccai hanno una commissione di quattro uomini, uno per quartiere addetti periodicamente a fissare il prezzo delle carni. I fornaciai, coloro cioè che lavorano nella fornace per fare i mattoni, devono vendere il migliaio di mattoni a 4 lire con spese per il trasporto alla casa dell’acquirente fissate in 8 denari ed il prezzo di mille pianelle a 3 lire chiedendo 5 denari per la spedizione indipendentemente dalla distanza da percorrere, il centinaio della calcina avrà un costo massimo di 8 lire compreso il trasporto. I renaioli devono vendere cento staie di rena, pesate davanti all’acquirente per un prezzo che varia fra 25 e 36 sodi. I vasai devono confezionare i vasi con regole precise ed il prezzo seppur non fissato deve essere adeguato: se l’acquirente non ritiene che la ricompensa richiesta sia proporzionata al mercato può denunciare l’abuso. I barbieri (probabilmente precedentemente inseriti nella Corporazione degli speziali) per ogni rasatura di barba eseguita in bottega sono tenuti a chiedere non più di 2 denari che raddoppiano se la rasatura è eseguita a domicilio. Calzettai, farsettai e cimatori non possono più contrattare il prezzo ma si devono attenere ad un tariffario imposto. I sarti vengono accomunati a queste tre ultime categorie, e gli viene dato l’obbligo di confezionare i vestiti loro affidati entro 10 giorni in caso di capi maschili e 15 giorni se femminili. Inoltre non è possibile rifiutarsi di consegnare i panni tagliati a clienti che desiderano cucirseli da soli a casa ed anche per loro sono ribassati i tetti remunerativi.
E’ evidente che queste norme sono vissute dalle categorie produttive aretine con particolare insofferenza e ben presto il ruolo dell’Ufficiale di Freno mostra tutti i suoi limiti sia perché è percepito come una figura imposta dalla dominante fiorentina sia perché la continua rotazione degli ufficiali e della sua curia (il compito durava solo sei mesi), unita alla loro estraneità e non conoscenza del tessuto produttivo, rendono il lavoro di controllo molto difficile.
Per approfondire:
Andrea Barlucchi, “La Mercanzia ad Arezzo nel primo Trecento. Statuti e riforme (1341-1347)”
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