Per capire cosa accadde durante la battaglia di Campaldino ci affidiamo alle parole di due cronisti fiorentini dell’epoca, Giovanni Villani e Dino Compagni. I testi scritti in volgare sono stati tradotti in italiano corrente per rendere la lettura meno faticosa, si ringrazia il castello di Poppi per averci messo a disposizione il plastico lì esposto per poter costruire le immagini proposte in questa pagina.
Il reclutamento degli eserciti
Scrive Giovanni villani: e giunti gli alleati,…, presero la decisione di andare per la via del Casentino,…, suonate le campane a martello, si mosse l’avventuroso esercito dei Fiorentini,…. e si accampò per attendere tutti i soldati a Monte al Pruno, e là si riunirono 1600 cavalieri e 10.000 fanti,… e radunato il detto esercito scesero nella pianura del Casentino, guastando le terre del Conte Guido Novello, che era Podestà di Arezzo.
Sentendo queste notizie il Vescovo di Arezzo, con gli altri capi della fazione ghibellina, …, prese la decisione di giungere con tutto il loro esercito a Bibbiena, perché non fosse attaccata. Erano 800 cavalieri e 8000 fanti, molta gente insigne, tra i capitani di guerra c’era il fior fiore dei Ghibellini, tutti soldati esperti di armi e dell’arte della guerra. Non temevano il fatto che i fiorentini fossero il doppio di loro, anzi li disprezzavano, perché, dicevano che si lisciavano come le donne e si pettinavano le zazzere, provando per loro schifo e considerandoli niente.
L’arrivo alla piana di Campaldino e lo schieramento dei due eserciti
Ricevuto da parte dei fiorentini l’ingaggio della battaglia, si schierarono i due eserciti in modo ordinato nella pianura ai piedi di Poppi nella contrada detta Certomondo, presso l’omonima chiesa dei frati minori, e nella piana chiamata Campaldino, sabato mattina 11 giugno, il giorno di San Barnaba apostolo.
Messer Amerigo di Narbona e gli altri capitani fiorentini si schierarono in modo ordinato, disponendo in prima linea 150 cavalieri fra i migliori dell’esercito, tra i quali furono schierati 20 cavalieri di nuova investitura; Vieri de’ Cerchi essendo uno dei capitani, nonostante avesse un problema ad una gamba, volle tuttavia essere in prima linea. … La prima linea di cavalieri fu protetta ai lati da soldati provvisti di pavesi, balestrieri e fanti con lance lunghe. E dietro da una seconda schiera più numerosa di cavalieri.
A tale proposito Dino Compagni, cronista fiorentino, ricorda: i capitani della guerra misero i cavalieri davanti allo schieramento; e i pavesi, con il giglio rosso su sfondo bianco, furono appostati dinanzi. Allora il Vescovo Guglielmino degli Ubertini, che aveva una vista ridotta, chiese: “Quelle, che mura sono?” Gli fu risposto: “I palvesi de’ nimici”.
Alle spalle della schiera, continua Giovanni Villani, fu disposta a protezione la fanteria e ancora più dietro furono posizionate, riunite tutte insieme, le salmerie per trattenere il rinculo della schiera più numerosa. Al di fuori dello schieramento furono posizionati 200 cavalieri insieme a fanti provenienti da Lucca e da Pistoia e altre città, sotto il comando di Messer Corso Donati, all’epoca Podestà di Pistoia, con l’ordine di attaccare, se necessario, lateralmente i nemici.
Gli aretini dalla loro parte disposero in modo saggio le loro schiere, forti del fatto che avevano buoni capitani di guerra. Disposero una prima linea di 300 cavalieri, fra i quali ne elessero i migliori 12 che chiamarono i 12 paladini.
Definizione della strategia
Barone dei Mangiadori da San Miniato, ricorda ancora Dino Compagni, radunati gli uomini d’arme fiorentini disse: “Signori, le guerre di Toscana si soglìano vincere per bene assalire; e non duravano, e pochi uomini vi moriano, ché non era in uso l’ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per stare bene fermi. Il perché io vi consiglio, che voi stiate forti, e lasciateli assalire”.
L’inizio della battaglia
Con questi presupposti, alzatosi il grido di battaglia “Narbona cavaliere” per i fiorentini e “San Donato cavaliere” per gli aretini, la cavalleria aretina si mosse con grande baldanza a sproni battuti contro l’esercito fiorentino, seguita dalla schiera più grande di cavalieri e fanti, salvo il conte Guido Novello, a capo della riserva di 150 cavalieri che aveva il compito di attaccare di lato, il quale decise di non intervenire e poi si ritirò nel suo castello.
L’assalto degli aretini
Gli Aretini sferrarono l’assalto contro i Fiorentini perché, sapendo di essere cavalieri più preparati, cercarono di infrangere al primo attacco la schiera fiorentina e di metterla in fuga.
La difesa dei fiorentini
Infatti fu così forte l’urto che la maggior parte dei cavalieri fiorentini fu disarcionata, e la schiera più grossa rinculò per buona parte del campo di battaglia, tuttavia non si scompose, e con le ali dei fanti ordinate da ciascuna parte chiusero in una tenaglia i nemici, combattendo aspramente per lungo tempo. Aggiunge Dino Compagni: La battaglia fu molto aspra e dura.. Le quadrelle piovevano: gli Aretini ne avevano poche ed erano colpiti lateralmente dove erano scoperti: l’aria era coperta di nuvoli, la polvere era grandissima. I fanti degli aretini si mettevano carponi sotto i cavalli e con i coltelli in mano, li sbudellavano. Furono morti molti da ciascuna parte. Molti quel dì, che erano stimati di grande prodezza, furono vili; e molti, di cui non si parlava, furono stimati.
L’ingresso della riserva fiorentina
Continua Giovanni Villani: Messer Corso Donati, che aveva l’ordine di stare fermo e non attaccare, pena la decapitazione, quando vide l’infuriare della battaglia, disse come uomo coraggioso: “Se noi perdiamo, io voglio morire nella battaglia con i miei concittadini; e se noi vinciamo, chi vuole venga da me a Pistoia per condannarmi”, e attaccò lateralmente i nemici, causando la loro rotta.
La rotta degli aretini
Per questo, come piacque a Dio, i fiorentini vinsero e gli aretini furono rotti e sconfitti. Commenta Dino Compagni: Furono rotti gli Aretini, non per viltà né per poca prodezza, ma per la superiorità numerica dei nemici.
Per approfondire:
Nuova Cronica di Giovanni Villani
Cronaca delle cose occorrenti ne’ tempi suoi di Dino Compagni
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