Dalla descrizione appena fatta emerge come nella prima esperienza del Popolo ad Arezzo la sua azione è caratterizzata da unità di intenti fra popolo delle Arti e delle Corporazioni e “media gente”. Si potrebbe anzi dire che è in seno allo sviluppo delle Arti che nasce la consapevolezza della forza politica della borghesia aretina e da questa consapevolezza nasce l’esigenza di una maggiore rappresentanza e partecipazione alla vita istituzionale ed al governo della città. Inizialmente i rappresentanti della borghesia più ricca insieme con gli esponenti di alcune nobili casate dediti all’imprenditoria nel settore mercantile e del cambio ricoprono i ruoli di maggior rilievo, ma nel biennio che va dal 1285 al 1287 si va verso una predominanza del governo delle Arti.
Situazione molto diversa si presenta cinquanta anni dopo quando il Popolo torna al governo della città per la seconda volta dopo la cessione della città a Firenze da parte di Pire Saccone Tarlati. Questo nuovo periodo è segnato da una profonda divisione fra popolo della “media gente” e artigiani espressione delle Corporazioni. I primi, forti dell’appoggio della dominante Firenze, mettono in atto misure volte a ridimenzionare drasticamente i ceti minori che di fatto subiranno l’azione repressiva senza avere la forza politica di reagire concretamente.
La prima dominazione fiorentina (1337-1343)
Quando i fiorentini prendono il potere ad Arezzo pongono fine al dominio ghibellino che aveva caratterizzato gli ultimi cinquant’anni della politica aretina, fanno rientrare i Guelfi esiliati con l’avvento di Guglielmino degli Ubertini, approvano un nuovo Statuto volto a comprimere l’elemento nobiliare, costituito fra le altre dalle famiglie dei Bostoli, dei Brandaglia, dei Testi, dei Sassoli, degli Ubertini e dei Tarlati, con scelte di tipo antimagnatizio e mettono in atto norme atte a favorire il popolo della “media gente”, costituito da ricchi mercanti e professionisti del diritto, con un ridimensionamento delle Corporazioni delle Arti, il popolo cioè degli artigiani che aveva guadagnato peso e rappresentatività politica nell’ultima parte della prima esperienza popolare.
La strategia a sfavore delle Arte operata da Firenze
Il motivo di questa precisa strategia politica messa a punto da Firenze è spiegato in modo illuminante da Barlucchi. Dice lo storico che vi erano interessi finanziari convergenti fra Arezzo e Firenze così che conveniva a tutte e due le città trovare un accordo per tentare una integrazione sul piano economico. I mercanti più sviluppati e la medio-alta borghesia aretina guardano con grande favore la possibilità di espansione delle proprie attività grazie ad un legame più stretto con Firenze, il cui raggio d’azione ed il cui giro d’affari è proiettato su mercati ben più vasti e di respiro internazionale. Allo stesso tempo a Firenze vi è una parte che considera appetibile l’apertura economica aretina verso l’area umbro-marchigiana, lo sviluppo del settore della lana, caratterizzato dalla produzione di una manifattura di qualità mediocre rispetto a quella fiorentina e che per questo si può integrare bene nel circuito della città gigliata allargandone il giro di affari. Inoltre Arezzo è ai vertici toscani per la produzione di guado, la sostanza tintoria tanto utile all’Arte della lana fiorentina, per la quale è obiettivo più che auspicabile avere un rapporto preferenziale con i produttori di tale materia prima che garantirebbero così un basso prezzo ed una larga disponibilità. Inoltre la città di Arezzo garantisce una tradizione culturale dovuta alla presenza dello Studium che assicura qualità nella formazione di personale altamente qualificato. A Firenze in questo momento storico l’Arte della Mercanzia rappresenta un vero potere forte che si adopera in modo deciso affinché ad Arezzo il governo e la gerarchia sociale che questo esprime siano ad immagine e somiglianza di quelli fiorentini. Di qui, scrive Barlucchi, “l’ideologia di popolo della mezzana gente veicolata da molte rubriche della riforma statutaria del 1337” che decreta l’indebolimento delle corporazioni artigiane, abrogate nel loro ruolo politico, e più in generale del mondo del lavoro a favore del grande capitale.
La nuova classe dirigente del governo popolare
E’ proprio con questa strategia che ad Arezzo si seleziona la classe dirigente ai vertici del nuovo governo popolare, rappresentato della “media gente guelfa” ossia da quelle grandi e ricche famiglie, anche di origini nobiliari, dedite agli affari e legate politicamente alla parte guelfa e quindi a Firenze come gli Albergotti, i Camaiani e i Guasconi. Non stupisce che una famiglia come quella degli Albergotti sia annoverata fra i popolari data la vocazione imprenditoriale dei suoi esponenti, così come non stupisce che nel 1379 la stessa, in accordo con i Camaiani, si allei con gli aristocratici e magnati Bostoli per formare il governo Arciguelfo. Ma, data la commistione fra una certa parte dell’elemento nobiliare e l’alta borghesia, non stupisce neanche che gli esponenti della media gente al potere vengano definiti guelfi, appellativo caratteristico del ceto aristocratico. D’altronde nello Statuto della Mercanzia istituita nel 1341, gli ufficiali vengono scelti con grande attenzione in egual numero fra artieri di parte guelfa e ghibellina, a dimostrazione che questa divisione ha totalmente contaminato la borghesia e non caratterizza più la sola classe nobiliare.
Le nuove magistrature al governo della città
Alla luce di questo quadro delle parti molto più sfumato rispetto a quello duecentesco si deve leggere la modifica dell’assetto istituzionale e la creazione di nuove magistrature attraverso le quali il regime del Popolo governa la città di Arezzo. Il potere decisionale detto balìa viene affidato ai Priori e i gonfaloni del popolo e di giustizia che prendono il posto dei “Signori Otto” del precedente governo e al Consiglio speciale del Popolo fatto di trecento membri. Il compito di gestire i cittadini in armi, divisi per porte e contrade agli ordini del capitano fiorentino e dei Priori è affidato ai Gonfalonieri delle compagnie del Popolo. Una funzione essenzialmente consultiva è assegnata al Consiglio Generale del Comune e del Popolo costituito da cinquecento membri, scelti anche fra i nobili aretini ma in numero massimo di quarantotto. Il primo Gonfaloniere di giustizia e del popolo è Bico Albergotti, esponente di spicco della famiglia guelfa più in vista dell’epoca in ottimi rapporti con Firenze. Il controllo politico la dominante Firenze lo esercita attraverso l’operato del Capitano di custodia ed il Podestà. A proposito di questi cambiamenti Barlucchi commenta che tale operazione non deve essere stata indolore, le norme antimagnatizie e la cancellazione delle corporazioni artigiane unite ai ripetuti interventi volti a disciplinare il mondo del lavoro creano nei ceti colpiti malcontento e rabbia tanto da indurre un clima di insicurezza e timore nella classe dirigente del Popolo, come si desume da alcune misure cautelative presenti nello Statuto: per gli otto Priori è prevista una scorta di ben 50 uomini di cui almeno 25 balestrieri, tutti stranieri, hanno diritto a girare armati e a coprire di immunità le loro persone per i due anni successivi la scadenza della loro carica. Per dare ancora più potere agli interlocutori aretini del potere fiorentino, mercanti, banchieri, lanaioli e professionisti del diritto, viene creata nel 1341 la Mercanzia, oggetto di approfondimento dei precedenti capitoli.
Per approfondire
Berti, “Arezzo nel tardo Medioevo 1222-1440”
Andrea Barlucchi, “La Mercanzia ad Arezzo nel primo Trecento”
Scharf, “Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312)”
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